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Banksy. Painting Walls” - Opere, muri e contraddizioni in mostra

“Banksy. Painting Walls” – Opere, muri e contraddizioni in mostra

| On 03, Mar 2024

M9 – Museo del ‘900 di Mestre: in mostra a Venezia oltre 70 opere e tre pezzi originali del graffiti artist di Bristol. Un’esposizione che non convince per la discutibile impronta divulgativa e conservativa applicata ai muri originali.


di Francesco Spaghi


Picture:Season’s greetings” – Installation view (Banksy. Painting Walls), M9 – Museo del ‘900 di Mestre.


Banksy da oltre un ventennio influenza profondamente la scena culturale mondiale proiettando attraverso le sue opere un universo artistico che trova la sua cifra nei contrasti e nelle contraddizioni che affondano le proprie radici nel Novecento e deflagrano oggi nelle emergenze del nostro tempo: la crisi climatica, i conflitti mondiali, i fenomeni migratori.

La sua arte da sempre trova la sua specificità in strada, da Napoli a Calais, da Parigi a Bristol, da Gaza a Venezia, sono davvero tante le città toccate dagli stencil creativi del graffiti artist.

Gli stencil di Banksy non solo sono protagonisti open-air ma negli ultimi anni, tra mostre autorizzate e non, gli eventi artistici legati al misterioso artista e all’esposizione delle sue opere si sono sempre più moltiplicati.

Ma non solo, perché non era sufficiente esibire le sue opere, si è voluto in più occasioni andare oltre, sradicando letteralmente dai muri i pezzi da lui realizzati, rendendoli protagonisti di mostre ed esposizioni.

 

Banksy - Love is in the air (Flower trower), 2003, serigrafia su carta. cm . 50x70, Londra, Collezione privata Emilia e Alessandro
Banksy – Love is in the air (Flower trower), 2003, serigrafia su carta. cm . 50×70, Londra, Collezione privata Emilia e Alessandro

Ovviamente si fa riferimento a opere sì realizzate dall’artista ma successivamente acquistate da privati che inseguendo logiche capitalistiche che strizzano l’occhio al collezionismo prestano le loro conquiste in qualità di riempitivi d’onore.

Nel caso di “Banksy. Painting Walls”, la mostra presso M9, il Museo del ‘900 di Mestre in esposizione vi sono tre muri originali dipinti rispettivamente da Banksy nel 2009, nel 2010 e nel 2018.

Oltre a “Robot/Computer Boy” e “Heart Boy”, icona dell’esposizione è “Season’s Greetings“, apparso nel 2018 a Port Talbot, in Galles, nominata in quell’anno dall’OMS la città più inquinata del Regno Unito. Il murale ritrae un ragazzino con le braccia spalancate e la lingua tesa fuori dalla bocca per assaporare i fiocchi di neve che cadono dal cielo. Fiocchi che però, girando l’angolo del muro, si scoprono essere cenere che si leva da un bidone dell’immondizia in fiamme.

La curiosa pratica di mostrare pezzi autentici o porzioni di essi, decontestualizzandoli dalla loro originaria sede non si capisce bene come possa dare valore ad una creazione concepita per veicolare un significato che proprio attraverso la sua dimensione site-specific invera l’intenzione dell’artista.

 

Banksy - Heart Boy, installation view, M9 - Museo del ‘900 di Mestre
Banksy – Heart Boy, installation view, M9 – Museo del ‘900 di Mestre

Una pratica assolutamente non nuova, perché, seppur con sfumature diverse, come dimenticare gli ipergesti di Blu a Bologna in occasione della mostra “Street Art. Banksy & Co” a Palazzo Pepoli, o l’azione di Borondo a Torino durante l’esibizione “Street art in Blu 3”.

Sradicare opere concepite per vivere e significare sui muri non può rientrare in alcun modo in una pratica tesa alla valorizzazione di un atto creativo poiché l’operazione di decontestualizzazione non può che sfociare in un mero atto esibitorio, una pornografia soft che non aiuta l’arte e la sua comprensione, anzi, ancor peggio uccide il dialogo originale tra spazio e artista azzerando completamente la comprensione della sua intenzione.

Questo pensiero permane anche leggendo il testo della curatrice che accompagna l’esibizione, un testo critico dal quale emerge sì un punto di vista alternativo e solo in parte condivisibile, in realtà va in scena uno storytelling della critica che tenta di giustificare l’operazione logistica e performativa della rassegna, tesa alla dissacralizzazione dell’opera di Banksy e alla esacerbazione dei processi di musealizzazione.

Trattare consapevolmente i muri come reperti archeologici millantando obiettivi di carattere conservativo e divulgativo appare una soluzione che non convince e che si esaurisce nella sua attitudine autoreferenziale.

 

Installation view, Banksy. Painting Walls, M9 - Museo del ‘900 di Mestre
Installation view, Banksy. Painting Walls, M9 – Museo del ‘900 di Mestre

Per dovere di cronaca vi riportiamo qui alcuni passaggi del testo critico della curatrice Sabina De Gregorio, da qui traete pure le vostre conclusioni.

 

Testo critico: “Banksy. Painting Walls”

“Quello che abbiamo fatto con questa mostra è stata, appunto, un’impresa logistica e critica. Abbiamo trasportato tre muri (dal peso di sei tonnellate) raffiguranti opere di Banksy, li abbiamo imballati, caricati su navi cargo dal porto di Dover al porto di Dunkirk, e li abbiamo trasportati su camion gru fino in Italia, entrando nel ventre di M9. Questa operazione, oltre a essere una performance economica, logistica e di intenti, lancia una sfida all’intoccabile Banksy. Se la sua automatica sacralizzazione lo ha emancipato dalla battaglia tra writers, ha reso intoccabili e non modificabili i suoi lavori, allora l’unico modo per fare una critica dell’artista di Bristol è quello di esacerbare i processi di musealizzazione, così antitetici al mondo che Banksy finge ancora di rappresentare: quello degli street artist, degli underdog.

Sradicare i muri ‘benedetti’ delle sue opere mette in atto almeno due meccanismi artistici. Da una parte, attiva quel meccanismo di ‘lotta per la proprietà’ tipico dell’arte di strada, ma all’ennesima potenza (la sua opera non viene cancellata da un altro street artist con una bomboletta, ma viene letteralmente eradicata e ricollocata in un luogo). In questo modo, Banksy, paradossalmente, torna artista di strada, perché le sue opere sono reinserite in un contesto di ‘guerra per la proprietà’, ‘messe a rischio’. Dall’altra arricchisce le opere stesse, mescolandole a una performance museale volta a portare all’apogeo il processo di sacralizzazione delle sue opere, salvandolo quindi dalla farsa di un suo stencil (non più bello di tutti gli altri, non particolarmente originale o ardito) posto dietro una teca nel mezzo di una piazza o di una strada, soltanto perché prodotto da lui.

Più che una mostra su Banksy, questa vuole essere una mostra su tutto quello che gira attorno alle sue opere: processi di confinamento e sacralizzazione, dubbi sulla proprietà di stencil impressi su muri privati, in luoghi pubblici, navi cargo che trasportano tonnellate di pareti per trasportare, in realtà, appena pochi grammi di vernice. Ogni anno vengono organizzate centinaia di mostre, in tutto il mondo, sull’artista di Bristol. E molte di queste continuano a riproporre il ritratto di un writer anonimo e romantico, mancando a mio avviso un punto fondamentale: Banksy è il più noto degli anonimi, un artista di strada così invisibile da essere diventato una divinità, un re Mida che non è più in grado di produrre arte di strada perché tutto ciò che tocca diventa una performance mediatica. Quando l’artista (o chi per lui) si è recato in Ucraina nel novembre del 2022, nel mezzo della guerra, per raffigurare un bambino che con una mossa di judo ribalta un uomo molto più grosso di lui – presumibilmente Vladimir Putin – a muoversi, più che gli spaventati cittadini di Borodjanka, sono state le agenzie di stampa, i fotografi, una macchina mastodontica che in poche ore ha trasformato un modesto disegno in un’immagine iconica che ha raggiunto milioni di persone sparse per tutto il globo, ma paradossalmente, probabilmente, non ha raggiunto molti dei cittadini di Borodjanka, fuggiti o forse alle prese con incombenze più stringenti di passeggiare tra le mura in rovina che sono diventate teatro di una performance artistica globale, e non certo di arte urbana. Perché l’arte urbana non può trascendere da una dimensione locale, mentre quella di Banksy è progettata, fin dall’inizio, per aprire un dialogo globale.

Sradicando i muri con i suoi lavori, intendiamo sradicare Banksy dal suo stato di street artist, per reinserirlo all’interno di un contesto performativo: quando l’anonimo di Bristol si muove, paradossalmente rimane immobile, è tutto il resto che comincia a ruotargli intorno, conferendo valore alle sue azioni. Migliaia tra giornalisti, professionisti del settore culturale, case d’asta, manovali, capitani di navi, treni e gru si mettono in moto e di Banksy, che è invisibile, si riesce a sentire solo l’enorme frastuono che producono i suoi passi silenziosi.

Questa mostra intende svelare quella che mi pare un’evidenza: l’artista di Bristol, almeno da qualche lustro a questa parte, è diventato un artista performativo, ma non è tanto lui a compiere una performance, è piuttosto l’orchestra globale che segue ogni suo movimento, suonando una musica sui suoi silenzi: un rumore di trapani, camion, martelletti battuti sul banco di un’asta. La vera performance è la sacralizzazione di Banksy, che oggi rimane l’unico elemento (anche se potentissimo) in grado di conferire un valore spropositato alle sue opere”.


Exhibition info:Banksy. Painting Walls

When: 23 febbraio – 2 giugno 2024.
Where: M9 – Museo del ‘900 di Mestre.


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