Social Design - Sergio Olivotti
Annalisa Grassano | On 13, Ott 2013
Il fondatore del collettivo “Social Design Poster”.
di Annalisa Grassano
INTERVISTA A SERGIO OLIVOTTI
Sergio Olivotti è architetto, grafico, illustratore, insegnante, fondatore del collettivo “Social Design Poster”.
Questo eclettico artista è anche l’ideatore della prima “Biennale Italiana del Poster”.
Ha esposto a Caracas, La Paz, Mantova, Torino, Konya, Istanbul, Barcellona, Varsavia, Città del Messico, Lima.
Le sue illustrazioni trasognate, dal tratto musicale, danno vita ad un irreale mondo di personaggi poetici caratterizzati da ironia e un senso di malinconico magnetismo.
Le sue visioni leggere riescono a rendere in maniera dolce l’astrazione dei sentimenti, lasciandoci un senso di meraviglia e di stupore bambino.
Con “Social design poster” conferisce alla sua arte un fine etico. Realizza con grande passione un progetto che mira a diffondere la cultura del design grafico e a creare valore sviluppando il dialogo su delicati e importanti temi sociali.
Sergio elabora un personale e nuovo codice espressivo che si differenzia e non passa inosservato, nel quale l’originalità e l’estro sono la chiave vincente della sua comunicazione.
Da dove viene la tua ispirazione? Dove nascono le tue idee?
Non credo all’ “ispirazione”. L’idea è un processo in cui una componente forte è l’esperienza ed il mestiere. Per scrivere un libro bisogna prima aver letto molti libri. Così è nell’arte e nella grafica. Bisogna nuotarci un po’ per poi riuscire a metabolizzare certi meccanismi. Un’altra componente indispensabile alla creatività è il Coraggio. Ci vuole coraggio e un certo sfrontato spirito anarcoide per guardare l’arcobaleno di profilo, come suggeriva Munari. A me guardare l’arcobaleno di profilo piace e diverte un sacco.
Quando progetto un poster lavoro anche a tavolino e prima di tirare una linea ci penso un po’…
Quando illustro invece sono molto più istintivo e mi sono accorto che i miei personaggini escono fuori con il mio stesso umore del momento: sorridenti se son allegro, romantici se sono innamorato, assurdi se non sono tanto “in bolla” …
Come è nato il tuo progetto di social design?
Quasi per caso. Ma il caso non esiste. Nasce in un momento in cui stavo facendo tutt’altro: fui contattato da un amico, presidente di un’associazione di bimbi autistici. Lo aiutai a creare un contest di poster sull’autismo. All’inizio presi la cosa quasi sottogamba, concentrato com’ero in progetti un po’ più intellettualoidi da designer-fighetto. Alla fine scoprii invece che avevo fatto la cosa più bella della mia vita, perchè il contest si era trasformato da algido evento di design a reale e feconda occasione per dibattere, socializzare, sensibilizzare, trasmettere sim-patia verso i bimbi e le loro famiglie. In quel caso il processo ed il contesto si rivelarono molto più importanti del risultato in sé del contest.
Da allora non ho più smesso di occuparmi di social-design, cosa che trovo utilissima soprattutto con i miei alunni perchè li/ci costringe a dibattere onestamente e profondamente su temi di carattere morale ed etico.
Con il fine etico riesci a dare alla tua arte una bellezza aggiunta. Come ti fa sentire questo? Cosa è per te la vera bellezza?
A questa domanda potrei rispondere 100 volte e 100 volte darei una risposta differente.
C’è un aspetto etico che concerne i contenuti dell’arte. Un’arte disimpegnata, dicevo fino a poco tempo fa, non è moralmente accettabile.
Però questa è una visione quantomeno limitata. I greci ci hanno insegnato la kalokagathia, la coincidenza tra etica ed estica: il Bello ha un valore moralizzante in sé. Quindi la Forma non è meno importante del Contenuto. Avevo disegnato un poster una volta dove c’era solo una macrofotografia di una mosca con l’headline “bella dentro”. Era ironico: non esiste un bello dentro senza un bello fuori. Etica ed estetca sono legate a doppiofilo: cercare di distinguerle è assurdo. Anche l’abito fa il monaco. Guarda l’Italia degli ultimi vent’anni: s’è abbruttita eticamente ed anche, in parallelo, esteticamente. Io (lo dico paradossalmente ma non troppo) sono convinto che se le scenografie di certe orrende trasmissioni televisive di oggi avessero mantenuto la stessa qualità formale che avevano quelle degli anni ’60, lo spettatore di oggi non si sarebbe così abbruttito di riflesso.
“… non esiste un bello dentro senza un bello fuori. Etica ed estetica sono legate a doppiofilo: cercare di distinguerle è assurdo”
(Sergio Olivotti)
Passi dall’uso del bianco e nero nelle tue bellissime illustrazioni ai colori intensi dei tuoi poster, tu ti senti più rappresentato a colori o in bianco e nero?
C’è stato un periodo subito dopo la laurea in architettura in cui vestivo solo di nero. Se vai alla biennale di architettura di Venezia vedi gente vestita solo di bianco o di nero. Non so bene come e perchè, ma nelle accademie di architettura l’importanza del colore è misconosciuta e sottovalutata. Viene considerato un orpello che non si addice ai figli di Loos e di Mies.
Fortunatamente ho una mamma pittrice che mi ha introdotto ai piaceri dei colori. E’ come per la fotografia: certe foto van fatte in b/w, altre non avrebbero senso se non a colori… Io ho molte sfumature. Almeno spero.
Il futuro prossimo in cosa ti vedrà impegnato?
Finita l’esperienza organizzativa della Biennale del Poster vorrei dedicarmi a ordinare i cassetti che son pieni di illustrazioni in totale disordine. C’è la proposta di una mostra a Catania e una a Istanbul. Ma è solo un periodo destinato a concludersi: so già che tra un po’ tornerò ad aver voglia di fare interior design…e poi dopo un po’ vorrò fare uno stop-motion…e poi vorrò fare un intervento urbano. Non riesco a capire quegli artisti (di solito quotatissimi!) che fanno la stessa cosa tutta la vita: come faceva Fontana a non annoiarsi? Mah…
Ringraziamo Sergio e per maggiori info: www.olivotti.net
Per maggiori info Italian Biennal Poster: Facebook italian Biennal Poster
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